Percezioni di competizione.

Stamattina è iniziata davvero in modo bizzarro.

Ho aperto gli occhi, emergendo da una serie di sogni strani, pieni di persone e di informazioni in arrivo, come si verifica ormai quasi regolarmente da un paio di giorni. La prima parola che mi viene in mente è Giuda. Forse perché ho letto due libri che coinvolgevano il significato metaforico del personaggio, più che l’Iscariota in sé. Ero soprattutto curiosa di mettere per iscritto una recensione su questo libro, perché non vedevo l’ora di poter parlare di lui. 

E come spesso accade, l’energia, i pensieri, mi hanno condotto da un’altra parte. 

La seconda domanda che mi è venuta in mente è: Se stessi creando davvero la mia vita, da dove partirei? E’ una variazione di una delle classiche domande di Access Consciousness: se stessi creando davvero la mia vita, che cosa sceglierei? Qui percepivo che avrei dovuto scavare un po’ di più, e tirare fuori un altro punto di partenza.

Sempre seguendo l’energia delle percezioni, mi sono diretta verso un’altra parte ancora, apparentemente opposta. Ho aperto la mia cartellina di grafiche di Sveglia, e ne ho scelta una, che mi piaceva particolarmente, perché ritraeva una mano che disegna. E parlava di possibilità da creare, che magari non abbiamo ancora riconosciuto. Altro movimento, altro piccolo vortice di energia. La conversazione non è finita.

Un altro paio di click, una domanda di Sveglia da vestire di grafica, una ricerca e velocemente questa esce all’aperto.

E parla di competizione. Un argomento che attira la mia attenzione da sempre. 

Sulla competizione potrei scrivere lunghi racconti.

L’unica che mi è mai interessata è quella con me stessa. Da ragazza mi interessava vedere dove potevo arrivare negli studi, che erano il mio interesse principale. Ci tenevo moltissimo a studiare, sapere, conoscere. Avevo una fame senza sosta, senza soddisfazione, di conoscenza e di quella scaltrezza che deriva dal sapere tanto e dal saperlo applicare in ogni situazione.

Spostavo sempre un po’ di più la frontiera. Volevo vedere se sarei riuscita a superarmi, migliorarmi, raffinarmi.

All’esterno, questo era visto come una sfida per gli altri. Dato che era un impegno privato, che non coinvolgeva nessun altro, molti si sono sentiti in dovere di cercare di invadere uno spazio da cui erano chiaramente tenuti lontani. E anche con molta cura. Non richiedevo attenzioni o aiuti da parte di nessuno. E quasi tutti sono entrati in competizione con me, iscrivendosi ad una gara che non esisteva. Non è mai esistita, se non nelle loro teste. Lo facevano per dimostrarmi che erano perfettamente in grado di fare quello che facevo io. 

Ma io non l’ho mai messo in dubbio. Nessuno può dire che io abbia mai messo in dubbio o sminuito le capacità altrui. Tutt’altro.

Il motivo per cui non entravo in competizione con nessuno, è molto semplice. Non mi interessava. Non mi interessa. E non mi interesserà in futuro. 

Snobismo? Forse. Preferisco indicarla con la sfumatura della noia. Entrare in competizione con gli altri, cercare di dimostrare chissà quale superiorità, non è affatto interessante. E’, al contrario una noia continua. Passati i primi secondi di stimolo, la competizione con gli altri rivela il vuoto desolante del nulla che è. Dov’è la necessità, a lungo andare, di dimostrare di essere superiori/migliori/più belli/più ricchi/più… di qualcun altro? Dov’è il nutrimento, il divertimento, la creazione, qui?

Il premio del riconoscimento della superiorità dimostrata esiste soprattutto nella mente di chi crea la gara. Non di chi se la lascia infliggere. Perché ci sia gara, devono esistere almeno due antagonisti, e se c’è qualcuno che sfida, l’altro gli concede necessariamente il permesso di sfidarlo e di portarlo in uno spazio che magari non gli interessa nemmeno. 

Se entrate in competizione con qualcuno, gli state permettendo di infliggervela. E di imporvi un rapporto che magari non volete, che non vi interessa. 

E che non avete scelto.

La capacità di scegliere è il superpotere più comune che esista e spesso spaventa a morte chi non lo usa per paura, pigrizia o chissà quale altro motivo. E chi dimostra di scegliere per sé diventa ancora più spaventoso, e attraente. Deve essere contrastato, tacitato, e magari anche ridotto al silenzio, in modo che non incuta più quel terrore ignoto delle altre possibilità. Chi sceglie per sé, dimostra di essere consapevole dell’esistenza dello spazio delle altre possibilità. Magari infinite, possibilità. L’esatto contrario di quanto si dice comunemente, che non esiste scelta, ma tanti passaggi obbligati.

E’ proprio così?